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Giovanni Bozzolo
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La mia prima Byron
di paolo orestilli
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Ne sentivo parlare da anni.
Ai tempi in cui praticavo il triathlon (15 anni fa) la Coppa Byron era il punto di riferimento della stagione per Maurizio ed i master di Fidenza, con cui condividevo la dura preparazione... o almeno buona parte di essa.
Esercitava già da allora un grosso fascino, anche solo dai racconti di chi l’aveva “conquistata”. Conoscendomi, sapevo che prima o poi ci sarei cascato anch’io!
E’ successo adesso, a distanza di anni, proprio in occasione della 35ma edizione.

Oggi ho 36 anni e coordino un gruppo di master a Parma (Multisport). Questa nuova realtà è stata la principale motivazione per ritornare all’agonismo in questo 2016. Prima con le gare in vasca, poi nelle acque libere. Dato che i primi esperimenti (Cavi-Sestri, Elba, S.Terenzo) sono stati positivi ho pensato che fosse l’anno buono per la sfida “Byron”.

Per prepararmi sono anche tornato alle radici: la chiusura estiva della piscina di Parma mi ha ricondotto alla cara, vecchia “Guatelli” di Fidenza ed ai duri allenamenti di Maurizio (me li ricordavo bene).

Arriviamo al giorno della gara.
Mi presento con agli amici/compagni di squadra Pietro, Amelia, Annalisa e Luca – tutti alla loro prima volta.
Un po’ di ansia ed inesperienza ci hanno sicuramente fatto sprecare qualche energia nel pre-gara (cosa dobbiamo fare? quando e dove mangiamo? Dove ci si imbarca?). E l’ansia cresce durante la traversata in barca verso Porto Venere e raggiunge l’apice alla partenza. Più di 300 nuotatori, tutti insieme. Ci sono campionesse olimpiche, vecchi lupi di mare ed Over70. Tutti rivolti verso lo stesso obiettivo, distante 7,8km.

Provo a partire forte e perdo di vista i miei compagni di squadra.
Ricevo e distribuisco botte su tutti i fronti. Alla fine il nuoto di fondo è un po’ come il rugby: ci si mena ma ci si vuole bene.
Mi sembra di riuscire a seguire buone scie ma le sensazioni non sono il massimo: prima di entrare in diga arrivano le prime avvisaglie di crampi. Calma! Mi hanno detto che dietro la diga si nuota facile, come in piscina!
Una volta entrato mi rendo presto conto che il ritmo imposto e le continue botte non mi permetteranno di apprezzare le tranquille acque dietro la barriera.
Dopo qualche minuto avvisto Pietro, compagno di 1000 allenamenti. Mi piazzo dietro di lui e provo a difendere la posizione in scia. Faccio fatica e i crampi sono sempre dietro l’angolo ma tengo duro. Se sono con Pietro vuol dire che sto andando bene.

La diga è lunghissima!
Prima di uscire ci fermiamo 10 secondi per reintegrare gli zuccheri, nella speranza di recuperare qualche energia in vista dei 3 km finali.

Sapevo che il tratto subito dopo l’uscita dalla diga è il più difficile: si torna in mare aperto. Proprio in quel momento perdo la scia del mio compagno di squadra ed il nostro gruppo si divide in due. Una parte, guidata da Pietro, tiene il largo mentre i miei puntano la costa. Provo a portarmi sull’altro gruppo ma mi rendo subito conto che non ho abbastanza energie: mi sarei trovato solo e sarebbe stato peggio. Decido di tornare sui miei passi… un po’ demotivato.

Proprio in quel momento arriva il colpo di grazia. Medusa, tra spalla e collo.
Il dolore, intenso come una scossa elettrica, dura solo qualche secondo. Cerco di stare calmo, consapevole che l’unico modo di risolvere il problema e continuare a nuotare. Come dice il mio amico Bolzoni: “le meduse hanno più diritto di stare lì che te”.
L’irritazione diventa presto sopportabile ma le energie sono quasi esaurite e ogni volta che provo ad usare le gambe partono crampi ovunque. Sono partito troppo forte, sicuramente troppo forte per una giornata non ottimale.

A questo punto l’obiettivo è raggiungere il traguardo limitando i danni. Perdo qualche posizione e mi accodo ad un gruppo più lento. Altri nuotatori risalgono da dietro o arrivano dai lati. Non posso dare battaglia.. devo solo stare concentrato.
La visione del gonfiabile posto sul traguardo mi regala un’iniezione di fiducia e decido di staccarmi dal gruppo. Non per fare lo sprint (non ne ho) ma per godermi in solitudine gli ultimi 200 metri della mia prima Byron!

Pietro mi aspetta dopo il traguardo. Dice che è arrivato da due minuti.
Le classifiche lo confermano: 2 minuti e una trentina di posizioni sono il prezzo della mia crisi (poteva andare peggio).
Applico il gel per le meduse sull’ustione e, dopo pochi minuti, arriva Amelia. Fantastica: sarà seconda di categoria M25. Arrivano anche Luca ed Annalisa, anche lei bravissima a concludere una gara così dura con poco allenamento ed un fastidioso problema alla spalla.

Byron ha detto: “Nello sport puoi scegliere tra il piacere della vittoria e il piacere della sconfitta“.
Io credo di averli provati entrambi!
Incamminandomi, esausto e dolorante, verso il lido di Lerici pensavo che di certo non l’avrei mai più fatta.
Ma a distanza di qualche giorno sto già pensando alla prossima edizione!

 
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