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Giovanni Bozzolo
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2014 Bocche di Bonifacio
cronaca di un sogno diventato realtà
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"La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso … “ Fabrizio De Andrè.

Sbarcare con le jeep in Sardegna è come entrare in una terra che con l’immaginazione la si pensa molto lontana. Quelle terre “sognate” fin da bambino, impossibili da concepire a poche centinaia di chilometri da Milano. Sbarcato mi sento immediatamente in contatto con Lei, con le sue antiche “energie”, gli incontaminati paesaggi, i millenari silenzi.

La Sardegna mi accoglie sempre con lo sguardo di una madre anziana, con un sorriso benevolo di smisurata accoglienza dentro il suo grembo isolato e paziente. Ma tra me e Lei, tra il mio “ego” di uomo alla ricerca di una personalissima avventura e questa terra c’è un mare, meglio, un piccolo lembo di mare, le Bocche di Bonifacio.

Bocche che raramente sussurrano. La loro voce si fa sentire. Eccome! Toni forti come il suo maestrale intenso e potente, e le correnti marine, silenziose ma “nervose” di onde indomabili. Le Bocche sono lì da sempre, ingresso obbligato per chi vuole accedere a questa terra talmente bella di cui tutti ne vogliono “approfittare”. “Sentinelle di guardia” fin dalla notte dei tempi obbligano l’essere umano a rispetto e reverenza.

Capisco fin da subito (traghetto via Corsica) che se voglio ottenere quello che ho in testa di fare ho una sola strada: diventare amico di questo pezzo di mare.

I suoi “muscoli” sono possenti, troppo per un uomo pur allenato e preparato a lunghe nuotate. Le Bocche di Bonifacio sono l’eco di un’energia immensa, sommersa nella sua azzurra profondità a cui la storia, non a caso, ha affibbiato nomi di Dei mitologici.

Io, uomo comune, ufficio, casa, spesa. Vita vissuta di città, una città come Milano, frenetica, dove orizzonti “chiusi” da cemento si inerpicano verso il cielo soffocando i pensieri e i sogni specie quelli di bambino. Ecco, io, pigro ragazzo nell’adolescenza, io uomo così detto di età “matura” (maturo rispetto a cosa rimane ancor oggi un mistero) mi sono messo in testa di sfidare due tra i più possenti Dei: Eolo, il vento e Nettuno, il mare. Una sfida a mani nude, senza “tecnologie” al seguito che possano alleviare la fatica o amplificare la forza. Attraversare a nuoto le Bocche di Bonifacio brandendo l’unica “spada” a mia disposizione: la mia passione, la passione per il nuoto.

Mai avrei pensato un giorno che questo incontro sarebbe potuto avvenire eppure sono qui per conoscerlo e … conoscermi. Fare qualcosa che la mente ha cercato e voluto e che tra poco il mio limitato corpo tenterà di completare.
Ci si prepara, ci si allena, caparbiamente, con impegno e metodo. Continuamente, contro stanchezze, abitudini, pigrizie. L’allenamento in fondo è fatto di questo attraverso la motivazione che fa da faro, da stella polare in un cielo spesso nuvoloso di quotidiana vita cittadina.

Eppure quando arriva il giorno prescelto tutto viene messo in discussione, davvero tutto.
Come una lavagna piena di precise equazioni, dettagliate, controllate quasi alla paranoia vengono d’improvviso cancellate dall’orizzonte del mattino dell’attraversata.

C’è un alchimia che non si può programmare, non può essere “calcolata” seppur ci si mette meticolosa attenzione. Il giorno dell’incontro con l’attraversata, in particolare questa attraversata, la razionalità fin qui fonte di aiuto e riferimento vacilla, si dirada, diventa passiva. E mentre la piccola imbarcazione che mi seguirà lungo tutto il tragitto esce con il motore al minimo dal porticciolo di Santa Teresa di Gallura capisco che ora tutto è letteralmente “affidato” a Lui, il mare. E’ Lui che decide, è Lui che può permettere la realizzazione dei miei sogni o negarli. Gli elementi intorno a me sono sproporzionatamente più grandi, più potenti e selvaggi di quello che la mia mente ha partorito e voluto. Mi sento come un bambino che entra in classe per la prima volta: devo semplicemente svolgere il mio “compitino” ripetuto centinaia di volte negli allenamenti. Altro non dipende da me. Il resto lo fa Lui (anche se … essendo della specie umana mi illudo di “avere” in mano io la situazione … che stupido).
Il silenzio intorno alla barca, nel frattempo ferma appena fuori dal porticciolo, avvolge i pochi pensieri che ho nella testa. Mi vesto. Svolgo i piccoli compiti quali infilarmi la muta, mettere creme anti irritazione, pulire bene gli occhialini, sistemare il gps e calzare la cuffia. Sono azioni talmente lontane dal mio stato d’animo che nonostante la meccanicità delle stesse ci vogliano minuti. Tutto vola come in un battito di ciglia. Freddy, il pilota ci dice: “… ok ci siamo! Quando volete!...” . Eh già! Quando vogliamo... Sono mesi che voglio e adesso sono sul bordo di un motoscafo alle 6 di mattina, un leggero albeggiare davanti e un mare buio pesto sotto di me. Mi ripetono che quando voglio posso partire. Voglio!

Piccola, impercettibile esitazione e poi mi tuffo. Un grido mi esce spontaneo, veloce, improvviso: “aio!” , un saluto per farmi riconoscere dalle sconfinate profondità marine e … via! I miei sensi sono amplificati a mille. Tutto percepisco, la mia attenzione è totale attraverso tutti i sensi del corpo: vista, udito, sapore, tatto, olfatto. Il mare nei primi minuti mi accoglie con un profondo buio sotto i miei occhi. Forse l’unico timore che proverò in tutta l’attraversata. Bisogna non pensarci. Bisogna non farci caso, non soffermarsi. Facile a dirsi … Ma è l’unica strada. Non solo non bisogna pensarci ma soprattutto non farlo in maniera razionale. Deve avvenire spontaneamente con naturalezza, se no siamo punto e a capo. Staccare al più presto il “contatto” terrestre con tutti i pensieri a suo traino e “diventare” parte di un tutt’uno con l’elemento in cui sono letteralmente immerso.

E’ un attimo, ma scatta, si scatta questo off on. E’ poco spiegabile ma scatta. Allora entro in una dimensione parallela. Non lontanissima perché comunque i sensi vedono, sentono, percepiscono le persone che mi stanno vicine e mi danno i riferimenti essenziali per l’attraversata, ma la mia mente è come se pian piano “lasciasse i perché” sul lì e sul dove e con tranquilla pazienza si predisponesse a un lungo stand by fatto di tempo cadenzato non da ticchettii di orologi ma da nuovi ritmi particolari.
Il ritmo, si il ritmo diventa il compagno più consistente durante il lungo tempo passato in acqua.

Ci sono essenzialmente due tipi di ritmi con cui entro in sintonia, quasi univoci con il mio spirito.

C’è il ritmo del respiro. Costante, libero, mai affannoso, guai se lo fosse. Respirare bene nelle nuotate di lunga percorrenza è come mettere il giusto carburante nella propria autovettura. L’unica fonte primaria di energia (rifornimenti liquidi e solidi a parte) costante e continua, l’ossigeno che respiro entra ad ogni bracciata. Importante sentire di portarlo profondamente al proprio interno per permettere che tutto il resto “dell’autovettura uomo” funzioni bene.

C’è poi il ritmo delle bracciate. Dare un ritmo costante e duraturo mai eccessivo vuol dire “creare” un avanzamento fluido, poco dispersivo, ottimizzando la “presa” in acqua con “pale” quali le mani e le braccia che normalmente nella vita fanno tutt’altro.
Il ritmo dà fiducia alla mente. Come un domino innesca sensazioni positive, aperte. E la fiducia inganna a sua volta il tempo che se “distante” da se stessi non interrompe i pensieri positivi, non fa domande su quanto ancora o su quanto si è fatto.
La nuotata prosegue liscia, senza intoppi. Come concordato nel briefing, fatto il giorno prima, ogni 40 minuti vengo chiamato dal gommone che naviga al mio fianco per dissetarmi e mangiucchiare qualcosa. Le sensazioni mi dicono che potrei farne a meno ma mai fidarsi solo di se stessi. Gli zuccheri in corpo (altro carburante indispensabile) posso calare drasticamente da un momento all’altro e provocare conseguenze spiacevoli come crampi o stanchezze fisiche e mentali. Quindi meglio fare piccoli rifornimenti con costanza e ben cadenzati per mantenere sempre alta la loro presenza dentro il sangue.

Così trascorrono secondi, minuti, ore.
Il mio sguardo è sempre puntato verso il motoscafo che mi fa da chiocciola per il giusto percorso. Guardare oltre non serve, anzi è addirittura deleterio perché potrebbe innescare sensazioni di sfiducia per la lontananza delle coste ancora da colmare.
E gli occhi? Anche loro sono vispi. Sono attentissimi a tutto ciò che accade sotto e sopra la linea di galleggiamento. Sopra danno “ritorni” di tranquillità vedendo amici e professionisti che sono lì a poche bracciate da me pronti ad assistermi per ogni evenienza possa insorgere improvvisa. Gli occhi poi mi regalano uno spettacolo unico: la palla del sole al suo sorgere a filo del mare. Meraviglioso, una meraviglia che letteralmente “mangio con gli occhi”.

Sotto invece gli stessi scrutano con reverenza e curiosità il fondo dell’immenso mare. La vista arriverà massimo a una decina di metri. Vedo molto bene le linee di diffrazione che la luce crea nell’impatto con l’elemento acqua. Bellissimo. Mi auspico di intravedere pesci di piccole dimensioni … ma, tranne un banco di piccole meduse che mi provocano una forte frenata e relativa deviazione, incontri con specie animali marine non avvengono per mia sfortuna o … fortuna.
Non me ne rendo conto, sono in una dimensione molto intima ma il tempo, quello umano, quello fisico, passa inesorabile e la consapevolezza di ciò mi arriva dal mio compagno di nuoto che prendendomi la caviglia e fermando la nuotata bruscamente mi urla: “ci siamo! Ci siamo! Siamo Arrivati!”. Io riprendo a nuotare senza nemmeno confermare con lo sguardo quanto mi viene detto. Solo la sabbia sotto i miei piedi, penso, è il mio tangibile riscontro di arrivo. Ma qualcosa mi dice che l’avventura sta per completarsi. Le coste incominciano a fare capolino alla mia vista veloce e fugace tra le bracciate. La barca è ormai avvolta da bellissime falesie che si stagliano sulle coste Corse. Nell’ultimo rifornimento, appoggiato con la mano al gommone vedo persino alcune persone prendere il sole nella spiaggetta che segna l’arrivo dell’attraversata.

Le ultime bracciate improvvisamente acquistano un “nuovo ritmo”. Sono inconsapevolmente più veloce nonostante la stanchezza, da alcuni minuti, faccia capolino sempre più intensamente. L’adrenalina sale pian piano. Realizzo negli ultimi centinaia di metri che ce l’ho fatta. Non ci credo. Sono felice ma vorrei anche piangere. Ultimissime bracciate. Vedo il fondo! Terra! Urlo dentro di me, forse con la stessa intensità che fece quel marinaio sull’albero della Santa Maria quando per primo vide il nuovo continente americano.

Si, Terra! Ci sono! Allungo le ultime bracciate sopra scogli pieni di ricci. Potrei già toccare, ma continuo rasente il fondo fino a che ad un certo punto la mia ultima bracciata tra le migliaia fatte viene interrotta dalla sabbia della spiaggia di Capo Pertusato vicino Bonifacio. Appoggio finalmente dopo 4 ore di continuo nuotare i piedi e le gambe. I primi passi sono sbilenchi, flosci, poco stabili un po’ come le immagini degli astronauti tornati sul pianeta Terra dopo giorni di gravità zero. Ero diventato pesce senza accorgermi e le gambe ormai fungevano da pinne di stabilità orizzontale non verticale.

Mi alzo, esco. Tolgo cuffia e occhialini che mi hanno protetto dalla salsedine fino lì. Il sole è ormai alto. Mi guardo un attimo intorno poi forse sarà l’adrenalina mista alla consapevolezza ridestata di uomo terrestre urlo la mia gioia con un “si!!”. Un interminabile, potente, virulento “si!!”. Un si che non può farsi raccontare, un si dove c’è stipata tutta la concentrazione nervosa dell’attraversata e i mesi di faticosi allenamenti che l’hanno preceduta. Un si che porterò dentro di me, uomo comune, per sempre. Poi … un lacrima. Una lacrima salata cade improvvisa dalla guancia. In fondo, penso, è un segno di unione e ringraziamento all’immenso mare di Bonifacio e ai suoi Dei magnanimi e paterni nei miei confronti. Hanno accompagnato e dato il benestare a questo uomo regalandomi la loro amicizia.

Ermes Trentin, 29 Agosto 2014

 
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