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Giovanni Bozzolo
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Giglio 2012
di raffaele gambigliani zoccoli
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Ognuno dovrebbe scegliere il proprio inferno e il proprio paradiso.
E se le mie cattive azioni supereranno i miei meriti all'Entità Divina - per punirmi - sarà sufficiente collocarmi - per l'eternità - in un ipermercato in un sabato di dicembre con migliaia di persone che si accalcano nevrotiche per accaparrarsi gli ultimi regali delle feste.
Il mio paradiso - invece - è un lembo di spiaggia in una piccola isola del Mediterraneo, un'isola brulla, spoglia, il più possibile montuosa, in cui si percepisce che la potenza del mare ha solo concesso una tregua, una pausa.

Tant'è che quando con Marika arrivo al Giglio dopo aver lasciato l'Emilia martoriata dalle scosse l'emozione che mi assale non è per la gara imminente ma (solo) perché la spiaggia di Campese si avvicina al mio concetto di Eden; se ci sarà un dopo spero di ritrovarmi nella macchia mediterranea che mi abbraccia mentre scendo i tornanti verso il mare.

A Campese non c'è il sole, anzi, minaccia pioggia.
Fa freddo.
E per quanto riguarda l'acqua

“Venti gradi…” confida un giudice, “avete visto di peggio”.
“A Marina di Grosseto” continua un master al mio fianco, “due anni fa, sedici gradi e mezzo. Peggio davvero, ma questi son meno di venti.”

Entro sino al ginocchio, il freddo si sente subito e ho lasciato a casa il costume intero, la canfora e tutto quanto - pazienza penso, proverò a buttarmi e se va male mi ritiro.

Punzonatura velocissima (bravi!) senza gradita maglietta perché gli organizzatori optano per premiare i primi tre classificati di ogni categoria (bello, quasi nessuno lo fa!) e ci sono decine di coppe pronte per essere assegnate.

Il percorso è un triangolo da compiere due volte in senso orario, uguale agli altri anni, con la prima boa sotto il faraglione alla sinistra della spiaggia, la seconda dietro la torre sulla destra e la terza vicino alla partenza. Speriamo solo che lo abbiano allungato, ci diciamo prima della partenza, l'anno passato il campo di gara era troppo corto e i punteggi sono stati assegnati come se fosse una gara di mezzofondo.

Un giudice ci spinge in acqua ma io rimango a riva, se dalla barca ritardano la partenza come spesso succede finisco per congelarmi inutilmente - e invece no, i primi hanno appena raggiunto la linea immaginaria che suona la sirena (bravi, dovrebbe essere sempre così), maledizione mi dico e allora mi butto in trenta centimetri d'acqua e comincio a darci dentro mentre la fitta di gelo si impossessa del mio corpo e - come se non bastasse - l'acqua comincia ad entrarmi negli occhialini.

Per non rimanere ingolfato mi butto sulla destra e forzo sino al limite, anche per cercare di contenere il freddo che mi assale. Comincio a sorpassare qualcuno e dopo cinquecento metri in solitario vedo un gruppetto poco distante - riesco a raggiungerlo e mentre mi accodo riconosco la fisionomia di Lorenzo Guarenghi che l'anno scorso faceva più o meno i miei tempi. “Bene”, mi dico, “o Lorenzo è peggiorato o sono riuscito a recuperare i miei simili” e così continuo a stare in scia fino a due terzi del secondo lato, poi davanti rallentano, senza allungare sfilo il gruppo e mi trovo in testa col problema che continuo ad avere l'acqua negli occhialini e non vedo dove sto andando.

Rallento a mia volta e subito ricomincia il freddo, qualcuno si farà avanti penso - e invece niente, tutti dietro. Non amo tirare, se proprio devo farlo voglio almeno sapere dove sto andando, vado avanti cento metri e poi mi fermo, mi sfilo gli occhiali e intanto finalmente qualcuno mi passa, mi riaccodo e quando passiamo la seconda boa il gruppo aumenta l'andatura e per il resto della gara posso pensare solo al mare, meglio, a quell'incredibile BLU del mare. Nel primo lato lungo del secondo giro il gruppo si divide in due tronconi e quando ci ritroviamo dopo qualche centinaio di metri in mezzo a tutto quel BLU sembra di veder avvicinare dei pesci e non dei master, una sensazione incredibile che si può provare in queste acque e in poche altre.

All'inizio dell'ultimo lato il gruppo si sfalda e tutti cominciano a forzare in solitario - il mio allenamento invernale non è stato perfetto perché le mie braccia sono pesanti e da dietro cominciano a sfilarmi - provo a darci dentro ma non c'è nulla da fare e chiudo quinto nella mia categoria col rammarico che il secondo (Lorenzo con cui ho fatto tutto il percorso) è a nemmeno trenta secondi e ho perso il podio negli ultimi trecento metri. Pazienza, la gara è stata bellissima, il freddo a un certo punto è passato e questo mare è fantastico. L'altro modenese in gara, Raffaele Riccò, ha vinto la sua categoria, ricominciando da dove aveva finito l'anno passato.

Il buffet è ricco e abbondante (lo sarà ancor di più il giorno dopo nella mezzofondo, bravi!), i giudici stilano la classifica in un lapis (bravissimi anche loro) e a parte il sole che continua a non farsi vedere tutto è perfetto.

Una cosa però la voglio scrivere. Dubito che qualcuno si sia accorto di qualcosa ma a un certo punto un motoscafo è spuntato a gran velocità vicino al campo di gara e la barca dei giudici ha faticato non poco a raggiungerlo e ad allontanare il pericolo. Per evitare che ci scappi la tragedia anche nel nostro sport perché non piazzare all'esterno del percorso una - dissuasiva - barca della capitaneria a lampeggianti accesi?

 
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