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Giovanni Bozzolo
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Elba 2013
vent'anni dopo ...
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Dopo venti anni di gare in acque libere, scrivo il mio primo resoconto.

Spesso mi sarebbe piaciuto farlo, soprattutto perché mi sono sempre divertito a leggerli, provando anche grande ammirazione per chi gestisce ogni aspetto della competizione con assoluta padronanza: la rotta, gli avversari, le onde, le correnti.
Perché non l’ho mai fatto?

Devo confessarlo, sono uno di quelli che va a zig-zag. A terra ho una buona vista, ma in acqua, tra occhialini appannati, occhi arrossati, nuotata asimmetrica, scontri da evitare, proprio non riesco a seguire una traiettoria giusta.

Anche per questo preferisco le traversate; oltre al, per me, fondamentale aspetto psicologico di andare da un posto ad uno nuovo, sottraendo, così, sempre alla meta la distanza già coperta. Non è per questo che si nuota e ci si muove?

Visto che sono in vena di confessioni, dirò che mi sento un po’ stupido a ripetere dei circuiti. E poi, quando nelle traversate ho la costa a destra, lato da cui respiro nuotando, mi sento proprio a mio agio. Pertanto, dopo la delusione della Cetara-Vietri, altra bellissima traversata, mi sono recato con vero piacere e grandi speranze all’Elba. Nella costiera amalfitana, infatti, quando respiravo vedevo mare aperto. E poiché in partenza eravamo più di 300, per evitare botte, mi ero tenuto all’estrema destra.

Dopo circa 400 metri, mi si è affiancata una canoa. Che mi stava sempre a 3-4 metri lateralmente. Che bello, pensavo. Ma dopo un bel pò ho avuto un dubbio e quando, opportunamente, mi sono girato a sinistra, ho visto che la costa era a 500 m!
E pensare, invece, che c’è sempre qualche esordiente (non per l’età) che, vedendomi “esperto”, prima di qualche gara, mi chiede di poter nuotare nella mia scia. Qualcuno, per affetto, me lo richiede anche una seconda volta. Per ora, ancora nessuno è arrivato alla terza.

Ma torniamo all’Elba.

L’organizzazione è cambiata, quest’anno, e certamente ha pagato lo scotto della prima volta. Uno degli aspetti positivi del disputare le gare in un’isola, è che si possono trovare sempre condizioni ottimali, se si prevede, con largo anticipo, anche un valido percorso alternativo. Anche se non è assolutamente facile ottenere le necessarie autorizzazioni in un posto come questo, ad elevato interesse turistico e balneare. In questi miei ultimi venti anni di entusiastico nuoto, ho ricoperto vari ruoli, talvolta anche più d’uno contemporaneamente (nuotatore, medico, giudice, allenatore, assistente bagnanti ed organizzatore). Certamente quello meno gratificante di tutti è quest’ultimo.

Sabato pomeriggio, a capo Enfola, dove era prevista la partenza, c’era un mare… di meduse. Anche leggermente mosso. Assolutamente impossibile poterci nuotare rimanendo indenni. Con grosse responsabilità, poi, per eventuali danni fisici, sia per gli organizzatori che per il Giudice Arbitro. Pertanto, gara correttamente annullata.

Ma dall’altra parte della stretta penisola, separata da soli 20 m di spiaggia, c'era mare piatto e rarissime meduse (in 1 h di nuoto “libero” ne ho viste 3). Pazienza. Un'ottima cena, un impagabile tramonto sul mare, e la “luna rosa”, mi indennizzavano abbondantemente.

Domenica mattina, allora, ero ancora più motivato, se possibile, ed ero pronto a ricevere anche l’incontro/scontro con 4 o 5 meduse. Organizzazione ancora un po’ lacunosa, con approntamento del campo-gara all’ultimo minuto, ed anche un po’ dopo. Ma le giurie toscane sono a livello di eccellenza per professionalità, competenza e simpatia (e intendo partecipare ancora a tante gare in questa regione) e quindi tutte le operazioni pre-gara si sono svolte rapidamente e correttamente.

Partiti, io sempre all’estrema destra, beccavo la prima medusa all’avambraccio destro dopo pochi metri. Niente di grave, peccato solo così presto. Dopo 200, 300 m, mi si è affiancato Federico Di Carlo, M70, un vero mito (a differenza di altri più noti cronisti/nuotatori, io non sono nemmeno in grado di riconoscere, normalmente, le persone con cui nuoto!). Ho realizzato, pertanto di essere partito davvero bene. E gli ho nuotato a fianco per altri 200 m circa. Poi ho pensato di non voler esagerare e che, forse, sarebbe stato più redditizio per me stargli in scia. Nemmeno il tempo di provarci, ed ho ricevuto una vigorosa frustata elettrica da un orecchio all’altro, in regione occipitale, che mi ha fatto mettere, istintivamente, in posizione verticale. Addio scia.

Ma soprattutto, come ha fatto a colpirmi così una medusa? Doveva essere proprio a pelo d’acqua. E questo confermava la mia personale teoria che si viene colpiti maggiormente in scia, che non davanti. Allora deciso. Vado da solo. Ed arrivo alla prima boa. Che giro aggressivo. Ma quando, dopo pochi metri, contrariamente al mio solito, tiro su la testa, capisco che ho sbagliato direzione di almeno 30°.

Il mio problema è che mi piace talmente nuotare nel profondo blu che spesso mi dimentico di tutto. Per fortuna lo scoglio, che fa da altra sola boa del percorso, è grande e ben visibile. E quando, finalmente, lo raggiungo, penso di esibirmi in quello che da ragazzo era il mio maggiore divertimento (da solo): nuotare attaccato agli scogli. Soltanto che sono passati 45 anni e le mie capacità e la mia determinazione non sono, purtroppo, migliorate. Così, contrariamente, a quanto pensassi, vengo sballottato come un polpo appena pescato ed un gruppetto che sognavo di raggiungere, invece, mi distanzia.

Passato, dunque, il grosso scoglio, una medusa ben nascosta mi colpisce al pettorale sinistro, e così si incrina anche la mia teoria. Almeno potessi vedere l’arrivo. Per fortuna ho come riferimento il predetto gruppetto e ci do dentro. Ma è ora che si scatena la battaglia. Mi avevano sempre detto che ho una pelle fantastica, ma purtroppo attrae solo le meduse. Avanti. Non posso arrendermi ora che vedo il traguardo. E decido anche di sprintare, essendo riuscito a vedere la schiuma di quelli che mi precedono.

Ma l’ultima medusa la centro in pieno, con il pollice destro e la tiro anche in alto, in un’anomala fase di recupero del braccio. Ora mi fermo ed inveisco proprio. Ma ricevo una parola di conforto da un nuotatore dietro di me (allora ci sono?) e taglio il traguardo. Dopo una rapida medicazione con ammoniaca diluita, via a tranquillizzare moglie e cane, che erano rimasti sotto l’ombrellone, allo stabilimento. Ed anche una doccia rinfrescante, perché il sale mi dà fastidio ed avverto un po’ di pruriti diffusi. Ma i gettoni per la doccia li ha solo il bagnino, che cerco invano una ventina di minuti. Scoprirò, poi, che si era preso una pausa/ panino.

Comincio veramente ad innervosirmi e sento che si gonfiano... le labbra. Parlo con difficoltà (e per fortuna parlo sempre poco). Dopo essermi cambiato, decido che è meglio tornare all’ambulanza per un’iniezione di cortisone. Ma l’ambulanza è andata via. C’è ancora il medico, che appare, però, indeciso. Per mia grande fortuna, una signora molto gentile (consorte del cineoperatore?), si offre di accompagnarmi al P.S..

E qui inizia la storia che davvero merita di essere raccontata.

Ambiente ben tenuto, personale cortese ed efficiente. Ma ci sono altre persone in attesa. Tra le quali una signora anziana con un trauma cranico per un infortunio stradale, ed una bambina con genitori e nonna “rompi”. Quando riferisco che sono stato colpito da una decina di meduse, ed ho lesioni su tutta la pelle, mi chiedono dove me le sono cercate così tante. Inutile spiegare che effettuavo una gara di nuoto. A 60 anni? Non sono cose da ragazzini? Dopo una decina di minuti, non sentendomi per niente bene, torno dall’infermiera, bella donna, e le dico, con qualche difficoltà, che “ mi sento gonfiare tutto”.

Lei abbassa lo sguardo, ma non in maniera pudica. Capisco che la situazione sta prendendo una piega indesiderata. E le mostro tessera dell’ordine dei medici e tessera militare. Avverto, così, di aver guadagnato un minimo di credibilità. Dopo avermi controllato rapidamente frequenza cardiaca e pressione arteriosa (che trova molto bassa, ed io non le confesso che la mia pressione abituale è così), mi porta in una stanza dove, finalmente disteso, mi infila un ago con una flebo in vena, e chiama il medico che prescrive una buona dose di cortisone. L’avverto che a 60 anni, dopo una vita di assoluto benessere, ho da due mesi un’ulcera gastrica, e gli chiedo un gastroprotettore.

La stessa infermiera me lo somministra intramuscolo, nel deltoide sinistro. E quando mi disinfetta, si accorge che i numeri che avevo ancora su braccia e schiena, si cancellano. “Allora non sono tatuaggi”, mi dice. Quando, dopo, mi guardo allo specchio,intuisco che impressione possa averle suscitato. Ho due labbroni tipo gommone, da fare invidia a qualsiasi trans, gli occhi di fuori, la pelle del torace e delle braccia piene di bolle. Il medico mi dice che non ha mai visto una reazione allergica come la mia. Questo si che è un bel primato!

E quando, finalmente, questa volta per davvero, esco a rivedere le stelle, leggo un messaggio di Cristina, la responsabile master della mia “gloriosa” società, che già conosce, a Roma, prima di me, la mia classifica ed il mio stato di salute. Donna impagabile!

Alla premiazione, in mia vece, è andata la mia adorata boxerina.
Riesco anche a prendere il traghetto delle 17.
La prossima volta, però, meno meduse e più pescioline.
Tra altri venti anni vi prometto un nuovo resoconto, con l’impegno che se non avrò imparato a mantenere la rotta, sarò, quanto meno più sintetico.

Un abbraccio e buone nuotate.
Eugenio Velardi

 
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